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Scoperta la più grande truffa dei crediti di carbonio: cosa significa per l’ambiente

Un'indagine brasiliana rivela la vendita illegale di crediti di carbonio per 34 milioni di dollari, sollevando dubbi sull'affidabilità di questo mercato in vista della Cop29.
  • Scoperta un'organizzazione criminale in Amazzonia che ha venduto crediti di carbonio illegali per 34 milioni di dollari.
  • Un'analisi di Carbon Brief del 2023 ha rivelato che due terzi delle aziende che puntano a zero emissioni nette si affidano ai crediti di carbonio.
  • La Germania da sola necessiterà del 70% dei crediti disponibili, mettendo in difficoltà altri Paesi nell'UE.

È stata definita la più vasta truffa dei crediti di carbonio della storia e la stessa polizia l’ha nominata “Operazione Greenwashing”. Gli esiti più clamorosi di un’indagine della polizia federale brasiliana che in Amazzonia avrebbe individuato “un’organizzazione criminale” che per oltre un decennio avrebbe venduto crediti di carbonio provenienti da aree invase illegalmente per un valore complessivo di 34 milioni di dollari (circa 180 milioni di reais).

Seppur l’operazione sia avvenuta a giugno, se ne discute ancora adesso perché affidarsi alla compensazione delle emissioni di CO2 attraverso i carbon credit è la strada scelta dalla maggior parte delle grandi aziende per centrare i loro obiettivi climatici. E in vista della Cop29 che si terrà a Baku a novembre, c’è da giurarci che si continuerà, nonostante gli scandali che cominciano ad accumularsi, su questa rotta, riprendendo le fila di un discorso già affrontato alla Cop28 di Dubai.

Nel settembre 2023, un’analisi di Carbon Brief durata 5 anni aveva verificato che ben due terzi delle imprese che hanno annunciato la volontà di azzerare le emissioni nette hanno fatto affidamento a tale opzione. Anche l’Unione Europea sceglie di puntare su questo mercato per raggiungere la neutralità climatica al 2050. Eppure, negli stessi giorni dell’operazione brasiliana, uno studio di Transport & Environment, l’organizzazione ambientalista indipendente europea, ha svelato che 12 Paesi dell’UE sono destinati a non raggiungere gli obiettivi climatici nazionali per il 2030. Il motivo? Troppo affidamento sui crediti di carbonio.

“Germania e Italia mancheranno i loro obiettivi climatici con uno scarto sostanziale (rispettivamente 10 e 7,7 punti percentuali)”, scrive l’ong T&E. Di conseguenza, potrebbero consumare tutto il surplus di crediti disponibili per gli altri Paesi. La Germania da sola avrà bisogno del 70% dei crediti disponibili. Gli altri Paesi non conformi con gli obiettivi di riduzione delle emissioni si ritroveranno senza crediti da acquistare. Una situazione che potrebbe dare adito a contenziosi legali.

Insomma, nonostante le buone intenzioni, il mercato dei crediti di carbonio resta ancora troppo controverso ed è il settore dove si annida maggiormente il rischio di greenwashing. Come ha dimostrato la clamorosa operazione brasiliana.

Il Mercato dei Crediti di Carbonio: Promesse e Controversie

Un mercato nascente e molto promettente è quello dei crediti di CO2, che si sta sviluppando in parallelo a quello regolamentato europeo Ets. Dove la CO2, come noto, quota a 85 dollari alla tonnellata ed è considerata a forte sconto rispetto al costo reale dell’anidride carbonica, stimato in 185 dollari come indicato in un recente articolo pubblicato su Nature.

Il mercato nasce come strumento di mitigazione per contrastare il cambiamento climatico. Per contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi fissati come soglia massima dall’Accordo di Parigi del 2015 sul clima, è necessario limitare l’emissione di CO2 in atmosfera. Ma è un obiettivo ormai fuori dalla nostra portata. Ed è per questo che ha senso andare oltre gli obblighi normativi e farsi parte attiva di un approccio positivo, che contribuisca effettivamente alle emissioni con azioni concrete ed efficaci.

Foreste e oceani sono serbatoi naturali per la CO2, ma, dato l’aumento esponenziale della produzione di gas serra, non riescono più a stare al passo con la sua rimozione. Provate a riflettere. Per milioni di anni la CO2 è rimasta intrappolata in giacimenti e combustibili fossili che, in soli 150 anni, sono stati bruciati e riemessi in atmosfera. Studiare diverse soluzioni tecnologiche per la rimozione della CO2, dalle tecnologie di cattura, al trasporto, allo stoccaggio deve essere una priorità assoluta di tutti, aziende e istituzioni, cittadini e consumatori.

Cosa ne pensi?
  • Un passo avanti per la sostenibilità 🌍......
  • Questo è un disastro ambientale 🚨......
  • Esplorare soluzioni meno ovvie 🤔......

Il Greenwashing: Un Problema Globale

Sono sempre di più le aziende che decidono di intraprendere un percorso virtuoso verso la sostenibilità ambientale, sulla scia anche della crescente sensibilizzazione generale al contrasto dei cambiamenti climatici. Questo percorso molto spesso si traduce nella definizione di strategie di decarbonizzazione, mirate a raggiungere l’ambizioso obiettivo della Carbon Neutrality, ovvero dell’azzeramento o compensazione delle emissioni di CO2.

Perché molte aziende decidono di raggiungere la Carbon Neutrality? È tutta una questione di marketing! Le aziende che decidono di intraprendere strategie climatiche lo fanno infatti principalmente per acquisire un posizionamento più competitivo sul mercato, per raggiungere nuove fasce di consumatori, per differenziarsi dai loro concorrenti, in una parola per vendere di più. Tutto questo va benissimo e, anzi, per fortuna che questa tendenza è in atto, perché tutti abbiamo capito bene in questi anni quanta differenza possa fare davvero il settore privato nel contrasto ai cambiamenti climatici.

Ma ciò genera un nuovo tipo di problema, o comunque un aspetto di attenzione molto rilevante: il greenwashing. Secondo Wikipedia, “Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata o ambientalismo di facciata, indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta.”

Fondamentalmente questo significa che, trattandosi di investimenti completamente volontari e finalizzati nella maggior parte dei casi a innovare i processi di marketing e comunicazione, le strategie climatiche di molte aziende purtroppo non sono poi così “corrette”. Ovvero, si traducono in iniziative che non generano ricadute concrete e significative sul contrasto ai cambiamenti climatici e sulla tutela dell’ambiente, ma spesso generano ricadute concrete e significative sui conti dell’azienda.

Crediti di Carbonio: Un Business Controverso

Il dibattito sul mercato dei crediti di carbonio è vivissimo fin dal momento della sua istituzione. L’idea che si potessero pagare pratiche inquinanti comprando quote da chi si impegna a ridurre l’anidride carbonica nell’atmosfera è sempre sembrata a dir poco farisaica a una gran parte del mondo ambientalista.

Un articolo del Guardian, autorevole giornale britannico, pubblica uno schemino chiarissimo per descrivere l’uso che gli inquinatori fanno dei crediti di carbonio. Dal momento che pagano, possono vantare sensibilità ambientale, e farne un fiore all’occhiello del loro marketing. Con l’andare degli anni, si è anche visto che i progetti studiati per incassare i crediti sono di difficile valutazione e monitoraggio. Per di più possono incidere negativamente su altri aspetti importanti per il futuro del pianeta e dell’umanità, quali la protezione della biodiversità e i diritti umani.

«Il mercato volontario del carbonio è pieno di progetti di bassa qualità che non mantengono le promesse riguardo ai benefici per il clima, o che hanno serie conseguenze negative per la biodiversità e i diritti umani». Lo afferma Elina Kajosaari, amministratrice delegata di Compensate, un’organizzazione che combatte i cambiamenti climatici offrendo accesso a progetti sul carbonio di alta qualità. Un libro bianco dell’organizzazione recentemente pubblicato afferma che il 90% dei progetti sui crediti di carbonio basati su soluzioni ambientali non è efficace. Non fa testo neppure la certificazione in base a standard internazionali riconosciuti. E dunque si rischia che siano controproducenti.

«Individui e aziende, tra cui molte multinazionali, stanno usando i crediti di carbonio emessi da questi progetti per compensare le proprie emissioni. Ma compensando per mezzo di questo genere di crediti, che inondano il mercato attuale, si possono avere risultati per il clima minimo o addirittura controproducenti», afferma ancora Kajosaari.

Le ragioni principali, dice il libro bianco sopra citato, riguardano valutazioni non realistiche delle emissioni di anidride carbonica e dunque previsioni del tutto vaghe e non credibili sulla loro riduzione come conseguenza della realizzazione del progetto. Ma soprattutto molti interventi non contribuiscono a raggiungere benefici climatici aggiuntivi rispetto a quelli che si avrebbero anche in loro mancanza. Il libro bianco li definisce progetti falliti in partenza, ma spesso non senza conseguenze. Molti infatti contribuiscono a creare conflitti nelle comunità. Si sono avuti casi di sfratto di centinaia di migliaia di persone per dedicare i terreni sui quali vivevano a progetti per incassare crediti di carbonio.

Inoltre, in molti casi i benefici originati dalla vendita dei crediti di carbonio non vengono distribuiti in modo equo. Molto spesso vengono dati solo a chi può dimostrare di avere titoli di proprietà del terreno dedicato al progetto, mentre in molti Paesi in via di sviluppo la maggioranza della popolazione rurale ha solo l’usufrutto delle terra comunitaria. In particolare, non hanno titoli di proprietà individuali e “legali”, secondo la nostra accezione del termine, le popolazioni native che sono spesso coinvolte a loro insaputa in interventi che ne violano anche i ritmi tradizionali della vita e dell’economia, senza averne benefici tangibili.

Bullet Executive Summary

Il tema del greenwashing e dei crediti di carbonio è complesso e ricco di sfaccettature. La difesa dei consumatori è fondamentale in questo contesto, poiché solo attraverso una maggiore consapevolezza e trasparenza si può sperare di contrastare efficacemente le pratiche ingannevoli. La nozione base di difesa dei consumatori implica che essi devono essere informati e consapevoli delle pratiche aziendali per poter fare scelte responsabili.

Una nozione avanzata di difesa dei consumatori, invece, richiede che le istituzioni e le organizzazioni di controllo implementino e rafforzino normative che obblighino le aziende a una trasparenza totale nelle loro pratiche di sostenibilità. Solo così si potrà garantire che le strategie di decarbonizzazione non siano solo di facciata ma portino a reali benefici ambientali e sociali.

In conclusione, il mercato dei crediti di carbonio, sebbene promettente, è ancora troppo vulnerabile a pratiche di greenwashing. È essenziale che le aziende, i consumatori e le istituzioni lavorino insieme per creare un sistema più trasparente e responsabile, che possa realmente contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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