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Obsolescenza programmata: siamo vittime di un inganno?

Scopri come le aziende progettano i prodotti per rompersi prima, spingendoti a comprare sempre di più e quali sono le conseguenze per l'ambiente e il tuo portafoglio.
  • Nel 1924, il cartello Phoebus limitò la durata delle lampadine a 1.000 ore.
  • Gli smartphone hanno un ciclo di vita medio di soli 2-3 anni.
  • Nel 2024, raccolte quasi 360mila tonnellate di Raee in Italia.

L’inganno dell’innovazione perpetua: una spirale consumistica

Nel cuore della società moderna, permeata da un’incessante spinta all’innovazione, si cela una pratica insidiosa quanto diffusa: l’obsolescenza programmata. Questa strategia commerciale, lungi dall’essere una semplice coincidenza, rappresenta un disegno ben preciso volto a ridurre deliberatamente la durata di vita dei prodotti, incentivando i consumatori a sostituirli con sempre maggiore frequenza. Il risultato è una spirale consumistica che alimenta l’industria, ma al contempo grava sull’ambiente e depaupera le risorse economiche individuali.

L’obsolescenza programmata si manifesta in molteplici forme, spesso subdole e difficili da individuare. Un esempio emblematico è rappresentato dagli elettrodomestici che, quasi per una macabra ironia del destino, cessano di funzionare poco dopo la scadenza della garanzia. La ricerca di ricambi si rivela un’odissea costellata di difficoltà, con costi di riparazione che superano il valore residuo del bene, spingendo inevitabilmente all’acquisto di un nuovo modello.

Analogamente, nel regno degli smartphone e dei laptop, l’obsolescenza si insinua attraverso aggiornamenti software che rallentano le prestazioni, rendendo i dispositivi incompatibili con le nuove applicazioni. L’esperienza d’uso diventa frustrante, spingendo il consumatore a percepire il proprio device come inadeguato e obsoleto, anche se ancora perfettamente funzionante dal punto di vista hardware.

Non meno ingannevoli sono le strategie adottate nel settore delle stampanti, dove le cartucce dotate di chip segnalano prematuramente l’esaurimento dell’inchiostro, anche quando ne contengono ancora una quantità significativa. Questa tattica spinge il consumatore a sostituire le cartucce anzitempo, generando un inutile spreco di risorse e gravando sul portafoglio.

Queste pratiche, apparentemente innocue, celano un disegno ben preciso volto a perpetuare il ciclo di consumo, alimentando una domanda artificiale di nuovi prodotti. Lungi dall’essere un semplice inconveniente, l’obsolescenza programmata rappresenta una violazione dei principi di sostenibilità e responsabilità, minando la fiducia dei consumatori e mettendo a repentaglio l’equilibrio ambientale.

La genesi di questa strategia risale agli albori della società dei consumi, quando le aziende compresero il potenziale di incentivare la domanda attraverso la riduzione della durata dei prodotti. Un esempio storico è rappresentato dal “cartello Phoebus” del 1924, quando i produttori di lampadine decisero di limitarne artificialmente la durata a 1.000 ore, rispetto alle 2.500 originali. Successivamente, anche il settore tessile adottò questa pratica, rendendo il nylon meno resistente per stimolare le vendite.

Nell’era digitale, l’obsolescenza programmata ha assunto nuove forme, sfruttando la velocità dell’innovazione tecnologica e la crescente dipendenza dei consumatori dai dispositivi elettronici. Gli smartphone, ad esempio, hanno un ciclo di vita medio di soli 2-3 anni, a causa delle continue innovazioni, dell’obsolescenza percepita e delle difficoltà di riparazione. Questa tendenza è alimentata da pratiche commerciali aggressive, come il rilascio di aggiornamenti software che rallentano le prestazioni dei dispositivi più datati, rendendoli incompatibili con le nuove applicazioni.

Il fenomeno dell’obsolescenza programmata non è privo di conseguenze. Oltre a gravare sul portafoglio dei consumatori, questa pratica ha un impatto devastante sull’ambiente. La produzione di nuovi dispositivi richiede l’estrazione di risorse naturali, l’impiego di energia e l’emissione di gas serra. Inoltre, lo smaltimento dei rifiuti elettronici rappresenta una sfida complessa, poiché questi contengono sostanze tossiche che possono contaminare il suolo e l’acqua.

Quando l’aggiornamento diventa un tranello: i casi Apple e Samsung

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) ha inflitto pesanti sanzioni ad Apple e Samsung per aver implementato strategie che, di fatto, configurano obsolescenza programmata. Le due multinazionali sono state accusate di rilasciare aggiornamenti software che, anziché migliorare le prestazioni dei dispositivi, ne causavano malfunzionamenti e rallentamenti, spingendo i consumatori a sostituirli con modelli più recenti.

L’Agcm ha contestato ad Apple e Samsung l’omissione di informazioni cruciali riguardo agli effetti negativi degli aggiornamenti software sulla funzionalità degli smartphone. I consumatori, ignari delle possibili conseguenze, si trovavano a installare aggiornamenti che, anziché migliorare l’esperienza d’uso, la compromettevano irrimediabilmente.

L’Autorità ha inoltre sottolineato l’aggressività delle modalità con cui gli aggiornamenti venivano proposti ai consumatori, configurando un indebito condizionamento. Gli utenti, pressati da notifiche insistenti, si sentivano quasi obbligati a installare gli aggiornamenti, senza avere la possibilità di valutare consapevolmente i rischi e i benefici.

Un ulteriore elemento contestato ad Apple e Samsung è stato il costo elevato delle riparazioni, spesso superiore al valore residuo del bene. Questa strategia, secondo l’Agcm, incentivava la sostituzione dei dispositivi, alimentando il ciclo di consumo e generando profitti ingenti per le aziende.

L’Agcm ha qualificato i comportamenti di Apple e Samsung come pratiche commerciali scorrette, in violazione degli articoli 20, 21, 22 e 24 del Codice del Consumo. Le sanzioni pecuniarie inflitte alle due aziende rappresentano un segnale importante nella lotta contro l’obsolescenza programmata, ma non sono sufficienti a risolvere il problema.

Anche altre aziende sono state accusate di pratiche simili. HP, ad esempio, è stata costretta a consentire il downgrade del firmware dopo aver bloccato il funzionamento delle cartucce compatibili. Questi casi dimostrano che l’obsolescenza programmata è un fenomeno diffuso, che coinvolge diverse aziende e settori.

Gian Piero Celata, direttore del Dipartimento Tecnologie Energetiche di Enea, ha spiegato che “l’obsolescenza programmata consiste nel progettare un prodotto in modo che non duri più di un periodo prefissato”. Questa definizione, semplice e chiara, rende evidente la natura intenzionale di questa pratica commerciale.

Secondo Celata, gli aggiornamenti software possono “tirare per il collo” i processori degli smartphone più vecchi, sollecitando eccessivamente le batterie e causando malfunzionamenti. Per questo motivo, è importante fare attenzione ai cicli di carica e scarica delle batterie e non abusare degli smartphone.

Celata ha inoltre sottolineato la necessità di una legge che regoli l’obsolescenza programmata e tuteli i consumatori, comunicando la durata minima stimata del prodotto al momento dell’acquisto. Questa proposta, se attuata, potrebbe rappresentare un passo importante verso un consumo più consapevole e responsabile.

Dalle discariche all’economia circolare: l’impatto ambientale e le nuove frontiere del riuso

L’obsolescenza programmata non è solo un problema economico, ma anche ambientale. La produzione di nuovi dispositivi elettronici richiede l’estrazione di risorse naturali, l’impiego di energia e l’emissione di gas serra. Inoltre, lo smaltimento dei rifiuti elettronici rappresenta una sfida complessa, poiché questi contengono sostanze tossiche che possono contaminare il suolo e l’acqua.

Nel 2024, in Italia, sono state raccolte quasi 360mila tonnellate di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) domestici, in crescita del 2,5% rispetto all’anno precedente. A livello globale, nel 2021, sono state generate 54,7 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, un peso superiore a quello della Grande Muraglia cinese.

Questi rifiuti, spesso contenenti materiali preziosi come oro e terre rare, finiscono in discariche a cielo aperto nei paesi del terzo mondo, dove vengono smaltiti in modo incontrollato, causando danni irreparabili all’ambiente e alla salute delle popolazioni locali.

L’Unione Europea sta cercando di contrastare l’obsolescenza programmata con nuove normative sul diritto alla riparazione. La direttiva Ue 2024/1799, entrata in vigore il 30 luglio 2024, mira a rendere la riparazione più accessibile, economica e attraente per i consumatori. Gli Stati membri hanno tempo fino al 31 luglio 2026 per recepire la direttiva nella loro legislazione nazionale.

La direttiva prevede, tra l’altro, l’obbligo per i fabbricanti di riparare i prodotti tecnicamente riparabili, la disponibilità di un modulo di riparazione volontaria con informazioni chiare e la creazione di una piattaforma europea online per trovare servizi di riparazione. Inoltre, introduce la possibilità di estendere la garanzia legale di 12 mesi se si opta per la riparazione.

Queste misure, se attuate correttamente, potrebbero contribuire a ridurre la quantità di rifiuti elettronici e a promuovere un’economia più circolare, basata sul riuso, la riparazione e il riciclo dei prodotti.

Oltre alle normative europee, diverse associazioni di consumatori si sono mobilitate per contrastare l’obsolescenza programmata. Altroconsumo, ad esempio, ha lanciato il progetto Prompt per raccogliere segnalazioni di prodotti malfunzionanti e promuovere test indipendenti sulla longevità dei prodotti elettronici.

In Francia, l’associazione Halte à l’obsolescence programmée (Hop) ha denunciato grandi marchi per aver violato la legge sull’obsolescenza programmata e ha promosso la creazione del Club de la Durabilitè, un network di imprese impegnate nella durabilità dei beni e dei servizi.

Queste iniziative dimostrano che i consumatori sono sempre più consapevoli del problema dell’obsolescenza programmata e sono pronti a mobilitarsi per contrastarla, promuovendo un consumo più responsabile e sostenibile.

Al di là delle azioni legali e delle campagne di sensibilizzazione, è fondamentale promuovere un cambiamento culturale, che spinga i consumatori a privilegiare la qualità e la durabilità dei prodotti, anziché l’innovazione a tutti i costi.

Riparare i dispositivi, riutilizzarli e riciclarli sono scelte che possono contribuire a ridurre l’impatto ambientale dell’obsolescenza programmata. Inoltre, è importante sostenere le aziende che si impegnano a produrre prodotti duraturi e riparabili, premiando la loro responsabilità con le nostre scelte di acquisto.

Verso un consumo consapevole: il ruolo del consumatore informato

L’obsolescenza programmata rappresenta una sfida complessa, che richiede un approccio integrato, che coinvolga istituzioni, aziende e consumatori. Le normative europee sul diritto alla riparazione rappresentano un passo importante nella giusta direzione, ma non sono sufficienti a risolvere il problema.

È necessario che le aziende si assumano la responsabilità di produrre prodotti duraturi e riparabili, abbandonando la logica dell’obsolescenza programmata e abbracciando un modello di business più sostenibile. Inoltre, è fondamentale che i consumatori siano informati sui rischi dell’obsolescenza programmata e siano in grado di fare scelte di acquisto consapevoli.

La Francia, con una legge del 2015, ha reso l’obsolescenza programmata un reato, prevedendo sanzioni severe per le aziende che la praticano. Nel 2021, ha introdotto un’etichetta che indica l’indice di riparabilità dei prodotti, simile all’etichetta energetica, per aiutare i consumatori a fare scelte più consapevoli.

Queste misure, se implementate su larga scala, potrebbero contribuire a contrastare l’obsolescenza programmata e a promuovere un consumo più responsabile e sostenibile. Tuttavia, è fondamentale che i consumatori siano attivi e si mobilitino per difendere i propri diritti, promuovendo un cambiamento culturale che valorizzi la qualità, la durabilità e la riparabilità dei prodotti.

“È necessario che ci sia una legge che regoli l’obsolescenza programmata e tuteli i consumatori, comunicando la durata minima stimata del prodotto al momento dell’acquisto”, suggerisce Gian Piero Celata. Questa proposta, se attuata, potrebbe rappresentare un passo importante verso un consumo più consapevole e responsabile.

In definitiva, la lotta contro l’obsolescenza programmata è una battaglia per la difesa dell’ambiente, dei diritti dei consumatori e di un futuro più sostenibile. Una battaglia che richiede l’impegno di tutti, dalle istituzioni alle aziende, fino ai singoli consumatori.

Una prima nozione di base, per difenderci come consumatori, è comprendere l’importanza della garanzia legale, che ci tutela per due anni da difetti di conformità. Questa garanzia, però, non copre i danni accidentali o l’usura normale, quindi è fondamentale valutare attentamente cosa include e cosa no.

Un concetto più avanzato è legato all’economia della funzionalità: anziché acquistare un prodotto, si paga per il servizio che esso offre. Ad esempio, invece di comprare una stampante, si paga per il numero di pagine stampate. Questo spinge le aziende a creare prodotti più duraturi e riparabili, perché il loro guadagno dipende dalla loro efficienza nel tempo. Un tema che stimola anche una riflessione personale: siamo davvero sicuri di aver bisogno dell’ultimo modello di smartphone? O potremmo accontentarci di quello che abbiamo, magari riparandolo o aggiornandolo con un nuovo sistema operativo? Forse, imparando a consumare in modo più consapevole, potremmo non solo risparmiare denaro, ma anche fare un favore all’ambiente.


Articolo e immagini generati dall’AI, senza interventi da parte dell’essere umano. Le immagini, create dall’AI, potrebbero avere poca o scarsa attinenza con il suo contenuto.(scopri di più)
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